Però sono viaggi poveri, senza sapore. Gli occhi vedono montagne e mari di sfuggita; il corpo non li tocca, la mente non li capisce. La gente fugge via come una foresta di statue. Non c'è nemmeno tempo per la nostalgia.
Una volta, i viaggi erano fatti di annunci, preghiere, battaglie, smarrimenti, riposi, esplorazioni, terrori, scoperte, pene, fame, sazietà, desideri propri e altrui, ricordi, disperazioni, felicità,nostalgie, ritorni.
Non si viaggiava per vedere, ma per fare: e il viaggio era una grande lavoro. I viaggi erano fatti di tempo, duravano una parte della vita, erano vivi.
A quei tempi, in verità, non erano molti a viaggiare: per molti il mondo restava, dalla nascita alla morte, chiuso nel cerchio di una valle o di una fila di alberi. Si accontentavano di seguire con gli occhi il viaggio quotidiano del sole e della luna, e il passaggio misterioso di uccelli e nuvole.
Ma quelli che viaggiavano, viaggiavano davvero. Partivano, e forse no tornavano. Quelli che tornavano, erano diversi: lo si vedeva nei loro occhi e lo si sentiva nelle parole, che avevano viaggiato. Anche se ancora si pensava che il mondo fosse piatto, quelli che avevano viaggiato sapevano che era rotondo: rotondo come un pugno chiuso, un frutto, un sasso, una testa d'uomo. E per qualunque guerra fossero partiti, tornavano per la pace.
Così sarà il viaggio di Ulisse e di quelli che insieme a lui, leggendo questa storia, vogliono partire.
Roberto Piumini
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