mercoledì 13 maggio 2020

I viaggi di Gulliver



I viaggi di Gulliver è il capolavoro dello scrittore irlandese Jonathan Swift: il libro racconta le disavventure per mare di un medico di bordo, Lemuel Gulliver, che incontra esseri e popolazioni fantastiche su isole immaginarie. Vediamo cosa succede a Lilliput.



 

C’era una volta… un medico inglese di nome Gulliver al quale capitò una straordinaria avventura. Imbarcatosi a Bristol sulla nave Antilope diretta nelle Indie orientali, durante una violenta tempesta venne sbalzato in acqua. La nave, con tutto il suo equipaggio, affondò. Gulliver, aggrappato a una tavola, lottò per tutta la notte contro le onde. All’alba, il mare finalmente si calmò e il medico venne spinto dalle correnti su una spiaggia deserta. Stremato, ma felice di essere ancora vivo, si addormentò profondamente sulla sabbia.
Il sole era già alto quando si risvegliò. Socchiuse gli occhi e alzò il braccio per ripararsi dal riverbero del sole, ma sentì che la sua mano non si muoveva perché era trattenuta. Non riuscì a muovere neanche l’altro braccio. Cercando di alzare la testa, si accorse che i capelli erano fissati a terra. Anche le gambe erano bloccate. Sentiva un brusio confuso intorno a sé, ma poiché poteva vedere solo il cielo non capiva cosa stesse succedendo. A un tratto qualcosa di vivo si mosse sulla sua gamba, salì fino al petto e arrivò al mento.
Gulliver, cercando di guardare verso il basso, si accorse con enorme sorpresa che, davanti a lui, c’era un uomo molto piccolo, vestito in maniera pittoresca, alto circa quindici centimetri e armato di tutto punto di arco e di frecce.

Con uno sforzo enorme Gulliver riuscì a liberare il braccio destro e si girò su un fianco. Si accorse allora che una folla enorme di piccoli uomini lo aveva immobilizzato con delle corse al terreno.
Prese in mano il piccolo essere che era davanti a lui e, liberato anche l’altro braccio, cercò di spiegargli con un gesto che aveva molta sete. Il piccolo uomo lanciò un fischio acuto e poco dopo arrivarono carri carichi di botti che contenevano un vino buonissimo. Gulliver ne vuotò più di cinquanta. Poi gli furono date anche delle pagnotte, grandi come pallini da caccia. Per tutto questo tempo Gulliver aveva tenuto delicatamente in mano, come ostaggio, il soldato che sembrava un comandante.
Ormai sia Gulliver che i piccoli uomini avevano capito che nessuno di loro aveva cattive intenzioni. Il medico doveva fare molta attenzione quando si muoveva per non schiacciare qualcuno. Sempre a gesti, i piccoli uomini gli fecero capire che doveva alzarsi e andare con loro.
Il paese che Gulliver vedeva era in miniatura: alberi, fiumi, tutto era proporzionato agli strani, piccoli esseri. Arrivarono a una città e Gulliver, che si muoveva sempre con molta cautela, fu portato vicino a una torre dove lo aspettavano persone che sembravano molto importanti. Infatti tra loro c’era l’Imperatore. Con un grosso megafono dalla torre pronunciarono più volte la parola “Lilliput”.
Gulliver capì che quello era il nome dello strano paese dove si trovava. Vicino alla torre gli fu indicato come dimora un edificio che doveva sembrare enorme ai lillipuziani. Il medico si lasciò incatenare un piede, sapendo che non avrebbe fatto fatica a liberarsi, se necessario. Nei giorni che seguirono, Gulliver si riprese dallo spavento del naufragio, contento di essere ancora vivo, anche se in quella strana situazione.
I lillipuziani gli procurarono ogni sorta di cibo. Piano piano riuscirono a comunicare usando grandi cartelli su cui Gulliver e alcuni sapienti scrivevano a turno grandi lettere, ciascuno nella propria lingua.
I rapporti con l’Imperatore di Lilliput erano buoni. Una folla immensa veniva ogni giorno ad ammirare Gulliver e ognuno portava in dono del cibo. Un giorno Gulliver volle stupire tutti sparando un colpo a salve con la sua pistola. L’impressione fu enorme e lì per lì neppure lui si rese conto che questo fatto avrebbe cambiato il suo destino. Dal naufragio Gulliver era riuscito a salvare la spada, la pistola, l’orologio, un piccolo diario, un rasoio, qualche moneta e un vecchio pettine. L’imperatore volle sapere come Gulliver adoperava questi oggetti.

Rimase colpito soprattutto nel vedere come, con un sol colpo di spada, egli tagliasse un gruppo di alberi. Ora che iniziava a capire la loro lingua, Gulliver imparò molte cose sulle abitudini dei lillipuziani e comprese anche perché molti di loro erano sempre armati.
Al di là del mare c’era un’isola chiamata Blefuscu, i cui abitanti erano nemici dei lillipuziani da tanto tempo. Molte volte Lilliput aveva respinto gli attacchi di Blefuscu. Un giorno, improvvisamente, arrivò di corsa un messo dell’Imperatore e chiese a Gulliver di recarsi al più presto al palazzo reale perché l’Imperatore doveva parlargli. Naturalmente Gulliver lo attese nel cortile del palazzo perché, data la sua mole, non poteva entrarvi.
L’Imperatore gli spiegò che la guerra era imminente poiché alcune spie gli avevano riferito che la flotta di Blefuscu era pronta a salpare per invadere Lilliput. Quindi domandò a Gulliver se era disposto ad aiutare i lillipuziani a difendersi da quell’attacco.
Questi accettò, ma pose due condizioni. La prima era che non dovevano esserci vittime, la seconda che, in caso di vittoria, l’imperatore avrebbe aiutato Gulliver a tornare nel mondo da cui era venuto. Naturalmente le sue condizioni furono accettate.
Gulliver allora si fece spiegare dov’era esattamente Blefuscu e la posizione del suo porto.
Poi chiese di misurare con uno scandaglio la profondità del mare tutt’intorno all’isola. Saputo che l’acqua, nei punti più profondi, gli arrivava solo alla cintola, cioè non superava i dodici metri lillipuziani, iniziò a preparare un piano d’attacco. Attese un giorno in cui c’era una fitta nebbia sul mare e, camminando nell’acqua, arrivò davanti al porto di Blefuscu. Qui, fra lo sgomento dei piccoli isolani, strappò gli ormeggi delle navi che dovevano servire all’invasione di Lilliput e, dopo averle trascinate al largo, le affondò. Ormai Lilliput poteva stare tranquilla!

Gulliver credeva di aver risolto così tutti i problemi, ma non sapeva che l’Imperatore non avrebbe mantenuto la parola di lasciarlo libero.
Infatti l’Imperatore, dopo avergli donato un cappello nero che aveva fatto cucire da ventiquattro sarti, decise che non l’avrebbe aiutato a lasciare Lilliput. Gulliver era diventato troppo prezioso per l’Imperatore, che adesso addirittura sognava di sottomettere Blefuscu. Ma il comandante delle guardie, che per primo lo aveva trovato sulla spiaggia, disse a Gulliver: “Se non farai ciò che vuole, l’Imperatore ti farà avvelenare!”. Questa volta Gulliver ebbe paura. Il veleno era un’arma da cui non poteva difendersi. Decise quindi di scappare.
Una notte caricò tutte le sue cose su una nave e trainandola attraversò di nuovo il mare fino a Blefuscu. Appena arrivato chiese di parlare con il Re dell’isola, al quale spiegò il motivo del suo gesto: “Finché io sarò qui a difendervi, Lilliput non potrà mai attaccarvi! In cambio, dovete aiutarmi a tornare nel mio mondo”.
Al Re di Blefuscu non parve vero di capovolgere così le sorti della guerra dopo che la sua flotta era stata distrutta. Gulliver fu il benvenuto a Blefuscu e, quando chiese di essere aiutato, tutti si misero a sua disposizione.
Per prima cosa Gulliver chiese di ispezionare le coste dell’isola. Dovevano avvisarlo del ritrovamento di qualsiasi relitto portato dal mare dopo una tempesta.
Alla fine queste ricerche dettero un esito insperato. Coperta dalla sabbia, vicino a una roccia che sporgeva sul mare, fu ritrovata la carcasse di una scialuppa che una tempesta aveva gettato sulla riva. Gulliver corse subito a vederla e si rese conto che con un lungo lavoro, aiutato dagli abitanti di Blefuscu, forse sarebbe riuscito a ripararla. Ci vollero mesi per riparare lo scafo con i minuscoli alberi di Blefuscu… finché i il gran giorno arrivò.
Per un’intera settimana lunghe colonne di abitanti di Blefuscu portarono acqua e cibo alla barca. Quando Gulliver decise di portare, dalla riva migliaia di minuscoli fazzolettini lo salutarono e, dopo qualche vigoroso colpo di remo, Blefuscu diventò solo un puntino lontano. Per giorni e giorni Gulliver remò, finché si accorse che la barca avanzava veloce anche senza remare. Una forte corrente la spingeva avanti, mentre una misteriosa nebbia era scesa sul mare. Infine la nebbia si dissolse come per incanto e Gulliver vide volare alcuni gabbiani: erano gabbiani normali, non minuscoli come quelli di Lilliput. Era finalmente tornato nel suo mondo.

(da “Le più belle fiabe del mondo”, ill. Tony Wolf e Pietro Cattaneo. Dami Mondadori, 2005)
 

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