Una fiaba della tradizione russa che racconta di una piccola orfanella che trova nella fantasia il rifugio alla tristezza e la forza di trasmettere allegria agli altri. Vediamo cosa le succede...
C’era una volta… in un piccolo paese al limitare di una grande foresta,
un’orfanella di nome Irina.
Tutti conoscevano la sfortunata bimba e l’accoglievano sempre con un
sorriso. La bambina, che aveva una grande fantasia, passava le sue giornate
raccontando meravigliose storie e inventando strane avventure. Ogni mattina a
scuola i compagni, prima dell’arrivo della maestra, l’ascoltavano a bocca
aperta.
Certe volte Irina diceva di aver visto un orso con la testa di uccello,
oppure che la luna piangeva di tristezza per la sua solitudine. Altre volte
raccontava di aver scoperto che il lupo si travestiva da donna per andare al
mercato. Ogni giorno era una storia diversa.
Tutti i compagni di Irina erano contenti di cominciare così la loro
giornata di scuola. Appena la bambina iniziava a parlare, in classe tutti si
zittivano, si sentivano soltanto il cinguettio degli uccelli e lo stormire del
vento tra i rami del cortile fuori dalla scuola. E così quando la maestra
entrava in classe, invece di trovare una gran confusione, vedeva tanti visi
attenti e silenziosi che ascoltavano gli straordinari racconti. Qualche volta
la maestra aveva perfino ritardato l’inizio della lezione per lasciare che
Irina potesse concludere una storia particolarmente lunga o complicata. Poi,
sorridendo, applaudiva anche lei la piccola orfanella e carezzandola le diceva:
“Se continui così, un giorno diventerai una grande scrittrice!”.
Nei giorni di mercato Irina, quando usciva dalla scuola, se trovava una
vecchia botte, vi saliva sopra e di lì richiamava l’attenzione dei passanti con
le sue fantastiche narrazioni. Poi tornava a casa cantando e, a chi le chiedeva
da chi avesse imparato quelle canzoni, rispondeva: “E’ un ruscello del bosco
che me le ha insegnate!”
Insomma, Irina portava una nota di allegria a tutti gli abitanti del
paese. Le donne si fermavano volentieri alla sua casetta per salutarla quando
tornavano a piedi dalla città.
Ma in paese c’era anche qualcuno che non amava Irina: era la figlia del
fabbro, una bambina cattiva e invidiosa, che in classe non apriva mai bocca se
non per fare la spia alla maestra.
Un giorno la bambina tornò a casa e disse a suo padre che Irina era una
bugiarda e raccontava incredibili storie per farsi bella agli occhi di tutti.
Il fabbro si lasciò convincere dalla figlia e il giorno dopo si recò al mercato
per ascoltare di persona i racconti di Irina.
La bambina parlava di un lupo ferocissimo, di cui tutti avevano paura e
che, diventato un suo amico, ogni sera andava a farle visita.
Quando Irina lasciò la piazza, il fabbro gridò: “Irina ci offende con i
suoi racconti. E’ convinta che siamo tutti stupidi e che crediamo alle sue
storie senza senso!”
Una donna dal viso gentile si rivolse al fabbro: “Lasciala dire. Vive
in un mondo suo, un mondo felice, e quando racconta le sue storie non lo fa per
farsi bella ai nostri occhi, ma perché ci crede veramente.” “Ti sfido a
dimostrarlo!” rispose il fabbro, rosso in volto dalla rabbia nel sentirsi
contraddire.
La donna cominciò a discutere con lui: “Tu non conosci Irina come la
conosco io, hai soltanto sentito oggi una sua storia. Non puoi giudicarla solo
per questo.” Poi riuscì a convincerlo: “Questa sera andremo alla casetta di
Irina senza farci vedere. Vedrai che rimarrai sorpreso!”
Quando venne il buio arrivarono in silenzio fin sotto la finestra:
Irina, sola davanti al camino, si dondolava sulla sedia mormorando qualcosa fra
sé. I due cercarono di capire cosa stesse dicendo.
“…amico lupo, ti aspetto tutte le sere! Perché non vieni mai? Perché mi
lasci sempre sola? Di giorno sento gli uccellini che cantano e ho i miei amici
che fanno compagnia. Ma di notte ho tanta malinconia sento solo il verso del
gufo e della civetta che mi impauriscono. Tutti hanno una mamma o un papà che
li rassicurano, invece io…”
Il fabbro a quel punto si girò commosso verso la donna che aveva già
gli occhi lucidi. Entrambi si erano resi conto che la povera bambina aveva
bisogno di inventare storie fantastiche e amici immaginari per non sentirsi
sola. All’improvviso al fabbro venne un’idea; si chinò verso un grosso tronco
cavo, dicendo: “Da questo tronco posso ricavare con il mio scalpello qualcosa
che mi faccia somigliare a una creatura dei boschi, così Irina, vedendo che i
suoi personaggi vivono realmente, potrà pensare che i suoi sogni siano veri!”
Più tardi la bambina sentì battere sul vetro della finestra. Era un
nuovo amico: lo Spirito dei Boschi.
“Ciao Irina!” disse la strana apparizione. “Nella foresta siamo tutti
entusiasti delle tue storie, dovresti raccontarne una anche su di me!”. Poi
scomparve nel buio.
Il giorno dopo la bambina raccontò a tutti una nuova storia sullo
Spirito dei Boschi, dicendo che era venuto a trovarla. La figlia del fabbro,
dopo le lezioni, corse a casa dal padre per informarlo della nuova bugia di
Irina. Ma con grande sua sorpresa, il padre le rispose severo: “Non devi parlar
male di Irina. Quello che racconta è vero. Anzi, devi chiederle scusa per non
averle creduto.”
Fu così che quello stesso giorno, Irina guadagnò una nuova amica e la
figlia del fabbro perse la brutta abitudine di fare la spia.
Irina e lo Spirito dei Boschi
(“Favole russe” da “Le più belle fiabe del mondo”, ill. Tony
Wolf e Pietro Cattaneo. Dami Mondadori, 2005)
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